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"Al
16° Torino Film Festival "
(a cura di Giuseppe Mariano)
Il Cineforum Istituto Sociale è stato
accreditato presso il 16° Torino Film Festival, che si
è tenuto nel capoluogo subalpino dal 20 al 29 novembre
1998.
Nata nel 1982, grazie all'iniziativa di un gruppo di
studiosi ed appassionati di cinema raccoltosi attorno al
prof. Gianni Rondolino, la manifestazione ha, nel tempo,
aumentato la propria credibilità , ottenendo unanimi
consensi sia sul piano nazionale che internazionale ed
ha, quindi, potuto compiere un salto di quantità e di
qualità, attestato anche dal cambio del nome (quest'anno
infatti è stata abbandonata l'originale dizione di
"Festival Internazionale Cinema Giovani", che,
in passato, aveva provocato alcuni equivoci, facendo
pensare, soprattutto all'estero, ad un festival di film
per ragazzi).
Intatti sono rimasti gli obiettivi, le intenzioni e le
finalità: "esplorare i margini del cinema, sempre
più distanti da un centro che tende progressivamente ad
appiattirsi sul modello vincente hollywoodiano;
registrare i segnali di novità che riescono a bucare la
coltre omogenea di una produzione povera di idee e di
linguaggio; contribuire a promuovere i giovani talenti
che hanno bisogno di farsi conoscere ed affermarsi in un
mercato dell'audiovisivo sempre più difficile ed
asfittico; ripensare le esperienze di autori del presente
e del passato prossimo che hanno molto da insegnare,
purché opportunamente rivisitati ed interrogati".

Da tre anni caratteristica della rassegna è il
"Premio Cipputi", assegnato da Cgil, Cisl e Uil
ad un film che affronti le tematiche del lavoro e della
condizione operaia (nel 97 il premio aprì la strada al
travolgente successo italiano di "Full Monty").
Quest'anno il premio si è sdoppiato: infatti, accanto al
Cipputi 98 vinto da Achshav Rachmaninov ( E ora
Racmaninov di Daniel Syrkin - Israele 98, cortometraggio,
che, in soli 12 minuti, affronta il tema degli ebrei
russi rifugiati in Israele e costretti a lavori cui non
sono abituati : uno spazzino, una vecchia radio, il
secondo concerto di Racmaninov, un imprevisto), è stato
attribuito il Cipputi alla carriera al regista inglese
Ken Loach (il suo primo lungometraggio , Por cow, è del
1967), che per l'occasione ha presentato, in anteprima
italiana, la sua ultima fatica "My name is
Joe", film costruito sull'idea che "una piccola
squadra di calcio è uno degli ultimi posti in cui
sopravvive il sentimento della solidarietà: un
sentimento che nei luoghi di lavoro non esiste più,
anche per colpa dei sindacati". Vi si racconta la
storia di un amore difficile fra un ex alcoolizzato ed
un'assistente sociale in un quartiere di Glasgow
caratterizzato da povertà, emarginazione, droga e
disoccupazione.
Significativa novità dell'edizione 1998 del festival è
stato il Premio Nestlè (20 milioni al regista e 100
milioni al distributore) per la distribuzione
cinematografica, finanziato dallo sponsor per dare
concreta possibilità ad un film di trovare un'uscita
commerciale, condividendo con il distributore parte dei
costi di promozione e di sostegno". Il premio è
andato a Tre Storie di Roberto San Pietro e Piergiorgio
Gay (Italia 98), primo lungometraggio di questi registi
quarantenni, in cui si affronta il tema del difficile
cammino di tre ex tossicodipendenti, che, attraverso
l'esperienza della comunità e del lavoro, cercano di
conquistare un posto nella società.
La manifestazione si è articolata in 13 sezioni, di cui
4 riservate ai concorsi
( Lungometraggi, Cortometraggi, Spazio Italia e Spazio
Torino ) , ciascuna con una propria giuria.
Le opere premiate sono state rispettivamente:
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Parvaz e Zambur ( Il volo dell'ape) di
Jamshed Usmonov e Min Biong Hun (Tadzikistan 98):
film bellissimo e pieno di speranza, che,
attraverso un' essenziale tecnica
cinematografica, narra la storia di un
insegnante, che, non ottenendo giustizia dal capo
del villaggio, vuole ostinatamente vendicarsi,
per poi............
(nella foto Jamshed Usmonov)
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L'interview (L'intervista) di Xavier Giaunoli (Francia
97): si racconta di una spiacevole sorpresa capitata ad
un giornalista che si reca ad Hollywood per intervistare
Ava Gardner.
La Uccido di Fabian Ribezzo (Italia 98): storia in chiave
grottesca e fantastica di un cameriere, delle sue macabre
fantasie e di un'eccentrica coppia di clienti.
La freccia di Mauro Borgarello (Italia 98): film
realizzato in animazione, in cui si narra dell'improvviso
e vorticoso mutar della vita di un venticinquenne quando
compare una freccia.
Fin qui la cronaca ufficiale di questa manifestazione,
che, con il passare degli anni, acquista una sempre
maggiore maturità e che, al di là delle opere premiate
(tutte valide ed interessanti), ha offerto la
possibilità di vedere pellicole assai pregevoli e
significative. Così, a mio avviso, nelle sezioni in
concorso meritano una particolare citazione:
The interview (L'interrogatorio) di Craig Monahan
(Australia 98): film ottimamente recitato, in cui si
intrecciano la ambigua personalità di un arrestato e
quella del poliziotto che lo sottopone ad un lungo
interrogatorio. Alla fine viene fuori la verità, ma è
la verità?.
Last Nigth (L'ultima notte) di Dan Mckellar (Canada 98):
racconta l'ultima rassegnata notte dell'umanità, vista
dalla parte dei comuni mortali e non degli eroi che, ad
ogni costo, cercano di evitare la fine del mondo.
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Sib (La mela) di Samira Makhmalbaf (Iran 98):
film della diciottenne figlia del famoso regista
iraniano Mohsen Makhmalbaf, basato su un fatto
realmente accaduto a Teheran. I vicini di casa
denunciano ai servizi sociali una coppia di
genitori, che, dalla nascita, tengono segregate
in casa le loro due figlie gemelle di dodici anni
, in quanto (come candidamente dice il padre)
"sono come fiori: non si deve esporli al
sole, altrimenti appassirebbero.......".
Con un'ottima padronanza della macchina da presa
la giovanissima regista iraniana è in grado di
suscitare nello spettatore un profondo disagio ed
un'intensa emozione.
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Siamo troppo sazi di Stefano Missio (Italia 98): l'Italia
che cambia raccontata attraverso le osterie di una zona
di confine in provincia di Udine. Una carrellata sugli
"osti", cioè su continua a fare un mestiere
"difficilmente comprensibile in un mondo fatto di
profitti, innovazione e ritmi frenetici".
Quel che resta di lei di Riccardo Rovescalli (Italia 98):
la visita alla madre, ricoverata in un ospedale per
malati di Alzheimer, offre l'occasione per riflettere
sulla scarsa disponibilità della società delle immagini
nei confronti dei problemi degli anziani.
Per i cultori dell'arte cinematografica il 16° Torino
Film Festival ha avuto i suoi momenti più intensi e
significativi in alcune rassegne collaterali , che hanno
consentito di visionare opere molto pregevoli e spesso
anche di difficile reperimento.
Mi riferisco alle "Personali" dedicate a:
Jean Daniel Pollet: 22 film di un autore esordiente
all'epoca della "nouvelle vague", assai noto in
Francia, ma pressoché sconosciuto in Italia. Fra le
opere presentate mi piace citare:
L'acrobate (L'acrobata - 1975): storia di Leon , che da
inserviente dei bagni pubblici
diventa campione di Francia di tango. Ottima
interpretazione di Claude Melki, attore
strettamente legato a Pollet (vedasi anche L'amour c'est
gai, l'amour c'est triste), che ne ha
evidenziato le grandi capacità e la versatilità
recitativa.
Dieu sait qoi (1992): capolavoro della maturità di
Pollet che è una meditazione poetica
sull'opera di Francis Ponge, scrittore da sempre
indissociabile da Pollet.
Michael Haneke (12 film) e Robert Guediguian (8 film, fra
cui Marius et Jeannette, in cartellone quest'anno nel
nostro cineforum): due autori accomunati dal fatto di
aver attraversato un lungo periodo di anonimato, per poi
imporsi all'attenzione di critica e pubblico in un
periodo assai recente.
Di questi due registi ritengo meritino di essere
ricordati:
Ki lo sa? (Guediguian - 1985): film di totale pessimismo
("il mio film più nero, senza
un'oncia di speranza per il futuro"), una
rivisitazione della propria vita da parte del custode
sfrattato di una villa semiabbandonata e di suoi tre
amici di infanzia, riuniti per l'occasione .
A la vie, A la mort (Guediguian - 1995): ennesimo film
ambientato a Marsiglia; la storia di un gruppo di
diseredati, tutti disoccupati o precari, che gravitano
attorno ad un vecchio e fatiscente cabaret: qualcuno si
dovrà sacrificare per la salvezza degli altri.
Der siebentre kontinent (Il settimo continente - Haneke
1989): film che ha imposto
Haneke a livello internazionale ; la progressiva
distruzione di una famiglia, che, ritirati tutti i
risparmi e facendo credere di essere partita per le
vacanze, si chiude in casa e distrugge tutti i propri
beni e poi se stessa.
Fraulein - ein deutsches melodram (Ragazza- un melodramma
tedesco - Haneke 1986):
vicenda ambientata negli anni 50, che gravita attorno a
Johanna, al suo cinema Roxy, al
marito morto presunto in guerra ed ad André, l'amante
francese: un film avvincente,
realistico e non melodrammatico.
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Estremamente interessanti sono anche state le rassegne
Orizzonte Europa (14 film) e Americana II (9 film), le
quali hanno consentito di mettere a confronto due
cinematografie culturalmente distanti e spesso
contraddittorie. In esse si sono, a mio giudizio,
distinti:
Die Siebtelbauern (Gli eredi di Stefan Ruzowitzky -
Austria 1997): quasi un "western alpino", che
riunisce la lotta di classe ed il dramma sociale.
Sombre (Oscuro di Philippe Grandrieux - Francia 1998):
film che segue il terrificante cammino di un serial
killer e che analizza un suo strano legame con una
ragazza ingenua. Film impressionante per l'ambientazione
sempre tetra e cupa, per il mutismo e la claustrofobia
selvaggia del protagonista.
Sue di Amos Kollek (Usa 97): ritratto della solitudine e
dell'alienazione di una ragazza di provincia trasferitasi
a New York. Grande interpretazione di Anna Thomson.
The Apostle (L'apostolo) di Robert Duvall (Usa 97):
storia di un predicatore texano, che, trasferitosi in
Louisiana fonda con un anziano reverendo locale " la
chiesa dell'unica strada verso il paradiso" e viene
soprannominato l'apostolo. Il suo passato però
ritorna............
Touch of evil (L'infernale Quinlan) di Orson Welles (usa
1958): nuova versione di uno dei capolavori di Welles,
più aderente alle intenzioni del regista e basata su di
un memorandum di 58 pagine, redatto dallo stesso Welles,
contenente una serie di suggerimenti per rendere il film
più fluido e comprensibile rispetto alla versione voluta
e distribuita dalla Universal.
Non posso concludere questo sguardo sul 16° Torino Film
Festival senza parlare della Retrospettiva del cinema
africano, che ha consentito di vedere circa 70 film, fra
lungometraggi, cortometraggi e documentari, che
testimoniano il cammino pionieristico dei cineasti della
prima generazione: è stata un'occasione veramente unica
per assistere alla proiezione di opere per lo più
inedite. Fra tutte desidero citarne solo due:
Touki bouki (Le voyage de la hyéne ) di Djibril
Diop-Marulety (Senegal 1973): la ricerca di due giovani
del denaro per potersi imbarcare per la Francia, che
offre l'occasione per un esame della profonda lacerazione
della gioventù africana, divisa tra attaccamento alla
propria terra e la tensione verso l'occidente.
Sambizanga di Sarah Maldoror (Angola 1970): l'estenuante
marcia di una donna attraverso l'Angola colpita dalle
lotte intestine, alla ricerca del marito, militante del
movimento di liberazione, portato in un luogo sconosciuto
da un plotone di soldati.
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Il sito del film: http://www.rzm.com/pvt.ryan/movie/movie.html

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